Decreto sviluppo, cosa cambia nel rilascio del permesso di costruire?

E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di venerdì scorso, dopo e modifiche apportate su richiesta del Quirinale, il decreto legge sullo sviluppo n.70/2011.

Tra le modifiche dell’ultimo minuto segnaliamo la riduzione da 90 a 20 anni per il diritto di superficie sulle spiagge, e confermiamo la presenza delle novità già presenti nel testo approvato in Cdm (vedi news “Dl sviluppo, novità su Piano Casa, Scia e bonus 36% e 55%“)

Per quel che riguarda l’edilizia privata vi rimandiamo alla Prima parte dell’articolo “Le novità in edilizia privata con il decreto legge sviluppo: cosa cambia nel procedimento di rilascio del permesso di costruire“, breve analisi delle novità apportate dal decreto e un breve confronto sui vari punti con la legislazione regionale dell’Emilia Romagna,  per evidenziare le differenze, rispetto alla norma nazionale e gli adempimenti conseguenti alla nuova norma di principi.

La pubblicazione del decreto legge non ha “calmato gli animi” e le polemiche degli ultimi giorni.

Il Dl Sviluppo non soddisfa gli architetti italiani: poteva essere una occasione per predisporre un progetto complessivo che, usando nuovi strumenti normativi e applicando chiari principi di sostenibilità ambientale, avviasse quel processo di recupero del patrimonio edilizio e di ridisegno delle città che i cittadini aspettano.

Invece esso introduce novità normative, non legate tra loro, che forse aiutano i processi economici e di investimento, ma non sono finalizzati alla qualificazione degli spazi urbani e abitativi e rischiano di produrre danni al paesaggio urbano e rurale.  Per questo motivo, in relazione alla prossima fase di conversione legislativa, offriamo da subito il nostro fattivo contributo per definire norme condivise nelle quali i mezzi innovativi di semplificazione e razionalizzazione siano utili a un progetto coerente, ambientalmente ed economicamente sostenibile, finalizzato al benessere dei cittadini, alla salvaguardia del territorio e alla qualificazione delle città”.

E’ quanto afferma il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.

Entrando nel merito del DL, gli architetti sottolineano che “se la scelta di operare con la SCIA al posto della DIA finalmente chiarisce e semplifica, il silenzio assenso sui permessi per costruire è una “non scelta”, che abdica alla possibilità della p.a. di esercitare un controllo sulle trasformazioni del territorio e sul fornire certezza del diritto svilendo al contempo il ruolo e la professionalità dei tecnici progettisti.

Tenuto conto delle difficoltà degli uffici tecnici degli Enti, proponiamo invece che si definisca una riduzione drastica della documentazione sulla quale la PA si esprima, con chiarezza e in tempi certi, lasciando agli architetti di certificare tutti gli apparati tecnici di supporto, anche con l’ausilio di organismi terzi di validazione costituiti presso gli Ordini a cui rivolgersi volontariamente”.

“Sulle opere pubbliche – continua il Consiglio Nazionale – mentre è apprezzabile l’istituzione, presso le Prefetture, di  appositi elenchi di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, l’estensione dell’istituto della concessione per la realizzazione di opere pubbliche, in deroga ai programmi triennali, rischia di compromettere una coerente programmazione ed una corretta  gestione del territorio;quanto, poi,  all’innalzamento della soglia per l’applicazione di procedure semplificate vorremmo avere certezze sul fatto che non riguardi gli incarichi di progettazione”.

Per il Consiglio Nazionale “la promozione degli strumenti di trasferimento e di premialità volumetrica, infine, sono utili solo laddove vengano integrati in un Piano Nazionale che, senza sottrarre alle Regioni diritti e doveri di legiferare, stabilisca in modo chiaro che siano possibili solo laddove non si consumi ulteriore suolo, si applichino standard alti di eco compatibilità, si diano garanzie ai cittadini sulla durata dell’edificio e sui bassi cossi di manutenzione,  si qualifichino degli spazi pubblici adiacenti: sempre nel rispetto e nella promozione dei Beni culturali e del paesaggio”.

L’Istituto Nazionale di Urbanistica, ha dichiarato che pur apprezzando la riduzione (da 90 a 20 anni), senza l’inserimento della concessione in una logica di programmazione integrata degli interventi per il rilancio del comparto turistico e in una cornice di pianificazione territoriale e paesaggistica, 20 anni è un arco temporale ancora troppo esteso.

Per quanto riguarda altre misure contenute nel provvedimento, è marcata la delusione dell’Istituto per il mantenimento delle norme sul  rilancio del fallimentare “piano casa”, diventato “piano città“: l’INU denuncia la rozzezza culturale e disciplinare con cui è trattata  una problematica delicatissima, che riguarda le modalità di  riqualificazione urbana che non possono essere ridotte alla sola presenza di “destinazioni tra loro compatibili” e alle modifiche alla sagoma degli edifici per una “armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti”. 

Per questi motivi l’INU fa appello ai Deputati e ai Senatori, della maggioranza e dell’opposizione, chiedendo loro – nella fase di riconversione in legge del Decreto – di aver coraggio e sensibilità istituzionale nei confronti della cultura amministrativa, pianificatoria e paesaggistica del Paese e di valutare attentamente le conseguenze negative di queste norme sul nostro territorio e sulle sue stesse prospettive di sviluppo sostenibile.

Al contempo l’INU chiede che, nella fase di riconversione in legge del decreto, misure ormai culturalmente e tecnicamente mature, relativamente alla disciplina di alcuni strumenti utilizzati  comunemente, quali l’istituto della perequazione e quello della compensazione urbanistica – ancora non disciplinati da una norma statale – e le nuove forme di finanziamento di infrastrutture e opere pubbliche gestite dalla pianificazione siano disciplinate da legge nazionale. Potrebbe essere anche questa l’occasione per raccordare le obsolete norme della vecchia legge urbanistica del 1942 con l’innovazione delle varie leggi regionali.

Più in generale l’INU ricorda al Governo e al Parlamento che è attesa, ormai da molti anni, la “legge sui principi fondamentali del governo del territorio“. Un provvedimento a “costo zero” che è fermo da diversi anni nelle competenti Commissioni parlamentari. Unico provvedimento che garantirebbe maggiore solidità giuridica alla legislazione regionale, oltre a risolvere le continue situazioni contraddittorie determinate da una giurisprudenza ondivaga. Un provvedimento, infine, che potrebbe avere, questo sì, in modo assai più organico e condivisibile, robuste e più sicure misure indirizzate allo sviluppo secondo i principi comunitari della “economicità ed efficienza”.

E’ “pittoresca” – ha commentato il ministro Tremonti partecipando al convegno organizzato dai Piccoli editori – tutta “l’attenzione che è stata data alle spiagge, di cui, posso dirlo adesso, non me ne frega un tubo”. Una frase tesa a sottolineare che altri sono i punti del decreto, a partire dai distretti turistici, “che sono fondamentali per il Paese”. Nel decreto “i distretti industriali sono in campo” e altri aspetti innovativi – spiega il ministro – sono stati ignorati: “voglio solo ricordare ad esempio che c’é il credito d’imposta per la ricerca e c’é credito d’imposta per chi assume nel Sud”. E del resto – prosegue – “non esiste uno sviluppo che viene creato in un giorno per decreto da un uomo, da un soggetto, in modo istantaneo”. Tremonti ha voluto in seguito puntualizzare ulteriormente la sua sorpresa per l’attenzione mediatica al tema spiagge.

“Parlando tra l’altro di stampa alla stampa – ha detto – ho fatto notare che mentre il decreto sviluppo si espandeva dal Mezzogiorno alle opere pubbliche, dalla ricerca scientifica alla semplificazione, ai distretti-alberghieri, l’attenzione si è curiosamente e freneticamente concentrata solo sulle spiagge.

Se questo è il modo di valutare un decreto per lo sviluppo – ha aggiunto – viene proprio da dire che le spiagge sono enormemente meno importanti delle opere pubbliche, della ricerca e del lavoro nel Mezzogiorno. Forse la cosa più difficile è che temi seri vengano trattati seriamente”. Nel corso dell’intervento, sotto il titolo ‘Un Paese che vuol riprendere a crescere – diario di un ministro’ Tremonti si è soffermato su alcune delle criticità dell’economia italiana.

Il problema dell’Italia, secondo il ministro, “resta la grande questione meridionale”, la crescita a due velocità di un Paese che continua ad essere “duale” frenando sullo sviluppo. Punta il dito, Tremonti, contro lo spreco dei fondi europei: “quest’anno stiamo rischiando di perdere sei miliardi”. E ribadisce che “il Nord è la regione più ricca d’Europa, mentre il Sud è una realtà che arretra e non avanza”.

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