Ecoreati, nuova legge da testare al fine di verificarne l’impatto

Legge sugli ecoreati: grande bluff o strumento efficace? La risposta non è immediata. Numerose sono state nelle ultime settimane le voci che si sono levate polemiche con riferimento all’approvazione del testo di legge (legge 22 maggio 2015, n. 68) che innova la materia dei reati contro l’ambiente.

Il tema è stato messo in evidenza questa settimana nel corso del seminario organizzato da Confindustria in merito alla “Nuova disciplina dei delitti ambientali”.

I casi di leggi che di ambientale hanno solamente il titolo sono molti, da quando una decina d’anni fa l’Italia ha cominciato a recepire le direttive europee peggiorandole nel tentativo velleitario di migliorarle: il caso evidente in questa direzione è rappresentato dalla legge sugli ecoreati.

Il fine punitivo difficilmente è in grado da solo di rendere una legge efficace sul piano degli effetti reali. In materia ambientale risulta per esempio inapplicabile il ravvedimento operoso, meccanismo che in teoria prevede facilitazioni a chi, in caso di inquinamenti accidentali, risana immediatamente la contaminazione. Le facilitazioni della legge ecoreati sono in questa direzione solo immaginarie e impediscono nei fatti le decontaminazioni immediate: “La norma è ispirata a una logica punitiva che non ha come priorità l’obiettivo del risanamento”, afferma Gaetano Maccaferri, vicepresidente per la semplificazione e per l’ambiente.

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In questo senso sono giunte rassicurazioni da parte delle personalità istituzionali più importanti in Italia in materia ambientale. Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, ad esempio, pone rassicurazioni: “Dobbiamo rivedere la normativa adottata finora per riavvicinarla a quella europea”. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando aggiunge: “Faremo un tagliando non su questa legge ma su tutte le leggi, perché spesso ci dimentichiamo di verificarne l’impatto”. Il sistema giuridico che poi applica le sanzioni deve essere messo in condizioni di “agire con consapevolezza”, anche attraverso “la formazione e la specializzazione dei magistrati”, conclude il Guardasigilli.

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