La Corte Costituzionale boccia il Piano casa

La Corte Costituzionale, con sentenza n.121/2010, ha dichiarato illegittime alcune disposizioni del d.l. n.112/2008 (convertito nelle legge 133/2008) relative al piano nazionale di edilizia abitativa.

La Corte, che ha riunito i ricorsi presentati da diverse Regioni, ha anzitutto accolto le censure relative all’articolo 11 comma 4 in cui si stabilisce che «decorsi 90 giorni senza che sia stata raggiunta la predetta intesa, gli accordi di programma possono essere comunque approvati».

Il termine fissato è relativo agli accordi di programma che, in base all’articolo, vengono promossi dal Ministero delle infrastrutture e approvati con decreto dal Presidente del Consiglio previa delibera Cipe, d’intesa con la Conferenza unificata. Scopo degli accordi, concentrare gli interventi di edilizia abitativa rapportandoli alla effettiva richiesta di case nei singoli contesti territoriali.

La Corte ritiene che la norma «vanifica la previsione dell’intesa, in quanto attribuisce a una delle parti «un ruolo preminente, incompatibile con il regime dell’intesa».

«Non è legittima», scrive la Consulta citando una propria sentenza del 2007, «la drastica previsione, in caso di mancata intesa, della decisività della volontà di una sola delle parti, la quale riduce all’espressione di un parere il ruolo dell’altra».

Incostituzionale anche il comma 9 dell’art. 11, che consente di ricorrere alle modalità di approvazione previste per le infrastrutture strategiche. «In questo modo», si legge nella sentenza, «il legislatore intende garantire la speditezza delle procedure, a discapito però delle competenze costituzionalmente tutelate delle regioni».

Infine la Consulta ha giudicato incostituzionale l’art. 13 comma 2 della legge 133 nella parte relativa alle procedure di alienazione degli immobili di proprietà degli Iacp.

La Corte ha osservato come la norma incriminata ricalchi «in modo evidente» il contenuto di un’altra disposizione (art.1, comma 598 della legge n.266/2005) dichiarata illegittima con la sentenza n.94/2007. Secondo i giudici delle leggi, la formulazione letterale della norma contrasta con la totale libertà «di cui devono godere le regioni nel condurre le trattative per raggiungere gli accordi». 

Fonte: Aniem
 

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