Nuovo impianto idrico in Toscana

Dissalatore di Giannutri
E’ imminente l’avvio dei lavori per la realizzazione del dissalatore di Giannutri, che produrrà fino a 600 metri cubi di acqua potabile al giorno. Il termine dei lavori è previsto per la fine di dicembre e l’impianto dovrebbe entrare in funzione entro l’inizio del prossimo anno.
«La Regione ha deciso di finanziarlo interamente – spiega l’assessore regionale alle risorse idriche, Marco Betti – con un investimento di 600.000 euro e di dare in questo modo una risposta efficace alla sete dell’isola. Si tratta di una scelta economicamente vantaggiosa, visto che ogni anno per rifornire Giannutri tramite bettoline spendevamo 450.000 euro. Così in un anno e mezzo l’investimento si sarà ripagato, senza contare che la qualità dell’acqua è indubbiamente migliore. Entro la primavera prossima contiamo di mettere in funzione anche il secondo dissalatore del Giglio, a Campese, capace anch’esso di produrre fino a 600 metri cubi di acqua potabile al giorno».
La capacità di produzione tramite dissalatori, in Toscana passerà quindi dagli attuali 2.900 a oltre 4.000 metri cubi al giorno. La Regione sta conducendo uno studio per verificare se è possibile realizzare altri dissalatori lungo la costa. Le prime due località oggetto di studio sono Punta Ala e Scarlino perché, come spiega l’assessore Marco Betti «realizzare dissalatori non risolve il problema della carenza d’acqua, ma permette di integrare la risorsa risparmiando le riserve nei periodi di maggior pressione turistica e di più alta richiesta come quelli estivi.
Con il progresso tecnologico un metro cubo di acqua dissalata ha raggiunto ormai costi competitivi, che variano da 1 ad 1 euro e mezzo. Significa che un litro di acqua dissalata costa al massimo meno di 3 delle vecchie lire. E’ per questo che dedicheremo alla questione-dissalatori una parte dei 5 milioni di euro previsti per quest’anno dal Patto per l’acqua».
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Radioattività ambientale 
Aria, suolo, acqua, alimenti in Toscana mostrano livelli di radioattività ben al di sotto dei limiti di legge, con un andamento stazionario e indici relativamente bassi, evidenziati dagli oltre 400 controlli a cui sono stati sottoposti i vari comparti.
E’ quanto emerge dalla relazione sulla radioattività ambientale approvata dalla Giunta regionale e che segue il monitoraggio condotto nel 2007 dai tecnici dell’Arpat, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente della Toscana.
I dati mostrano anche un sostanziale esaurimento delle conseguenze dell’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl. I livelli di Cesio 137 nel 1986 erano di 80 bequerel al chilo nella carne bovina e di 35 nel latte. Nel 1989 erano scesi a 1,1 nelle carni bovine e a 0,6 nel latte, mentre i limiti di legge sono rispettivamente di 600 e 370. Una discesa decisa, che da qual! che anno si è attestata su un doppio 0,1.
«E’ importante – spiega l’assessore regionale all’ambiente, Anna Rita Bramerini – che i dati continuino ad essere confortanti, ma lo è altrettanto poter contare su una efficiente rete regionale di monitoraggio del livello di radioattività. La quasi totalità è addirittura al di sotto della Mar, la minima attività (radioattiva) rilevabile. Solo alcuni prodotti del bosco, come i funghi e i mirtilli, mostrano valori di contaminazione apprezzabili, ma si tratta di un livello di oltre un terzo inferiore (circa 170 bequerel al chilo contro un limite di 600) rispetto ai parametri di legge e si riferisce a funghi importati da Bulgaria e Romania. Ancora più basso (20 bequerel al chilo) il valore relativo ai mirtilli.
Tra i dati contenuti nella relazione figurano anche quelli sui fanghi degli impianti di depurazione. In questo caso il limite previsto dalla normativa è di 1.000 bequerel ogni chilo, ma l’impianto che mostra il livello più alto (il S. Jacopo a Pisa) ne registra 1,2 cioè oltre 833 volte meno rispetto al massimo consentito. I depuratori con i livelli relativamente più alti sono quelli in cui recapitano gli scarichi dei presidi ospedalieri in cui si effettuano radio e chemioterapie. Sono infatti le deiezioni dei pazienti trattati a lasciare leggere tracce radioattive nelle acque di scarico avviate alla depurazione e, di conseguenza, nei fanghi di risulta.

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