Prima casa, una quota esigua non è “riacquisto” di immobile

Con una interessante sentenza (la 13291 del 17 giugno), la Cassazione torna a occuparsi dei benefici fiscali connessi all’acquisto della prima casa e, in particolare, dell’interpretazione della normativa che ne disciplina le ipotesi di decadenza.

Nel caso specifico, i giudici di piazza Cavour hanno affermato che – nell’ipotesi di trasferimento infraquinquennale dell’immobile comprato usufruendo dei benefici prima casa – il successivo acquisto non dell’intera proprietà ma solo di una piccola quota millesimale di un altro immobile, entro un anno dalla precedente vendita, determina la decadenza dai benefici fiscali, laddove l’esiguità della quota acquistata non permetta di disporre del bene in modo tale da poterlo adibire a propria abitazione.

La normativa di riferimento
L’attuale nota II bis), articolo 1, parte I, della Tariffa allegata al Dpr 131/1986, prevede l’applicazione agevolata dell’imposta di registro con aliquota del 3% agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case “non di lusso” e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse a condizione che:
1. l’immobile sia ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività
2. nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune in cui è situato l’immobile da acquistare
3. nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni in parola.
Detti requisiti soggettivi e oggettivi devono ricorrere congiuntamente per l’applicazione delle aliquote agevolate previste ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale.

Il comma 4, articolo 1, della citata nota, dispone poi che, nelle ipotesi di trasferimento (a titolo oneroso o gratuito) degli immobili acquistati con i benefici in parola, prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto, le imposte in trattazione sono dovute nella misura ordinaria; l’ultimo periodo del comma prevede testualmente che “… Le predette disposizioni non si applicano nel caso in cui il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato con i benefici di cui al presente articolo, proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”.

Ne consegue che, nel caso di immobili acquistati con i benefici prima casa e rivenduti prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto, l’Amministrazione finanziaria procede al recupero della differenza fra l’imposta ordinaria e quella ad aliquota agevolata, nonché all’irrogazione della sanzione amministrativa pari al 30% della differenza medesima. Devono, inoltre, essere recuperate le maggiori imposte ipotecaria e catastala, maggiorate della sanzione amministrativa del 30 per cento.
La revoca dell’agevolazione non ha luogo, invece, come detto, nel caso in cui il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato con i benefici prima casa, acquisti un altro immobile da adibire a propria abitazione principale.

Per completezza, si rammenta che il termine triennale (articolo 76 del Dpr 131/1986) per l’accertamento dell’intervenuta decadenza dalle predette agevolazioni fiscali non si determina a far data dalla cessione dell’immobile bensì dall’anno successivo alla data di registrazione dell’atto di compravendita senza che il contribuente abbia posto in essere un nuovo acquisto (cfr, Cassazione 3782/2011).

Il giudizio di merito
L’Amministrazione finanziaria propone ricorso in Cassazione contro la sentenza di una Commissione tributaria regionale che, nel rigettare l’appello erariale, aveva annullato l’avviso di liquidazione con il quale erano stati revocati i benefici concessi a un contribuente sull’atto di acquisto della prima casa, per avere – lo stesso acquirente – alienato il bene entro il termine quinquennale, senza procedere, tuttavia, nell’anno successivo alla vendita, all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale.

In merito, il contribuente – che aveva impugnato l’atto impositivo – sostiene di avere invece adempiuto alla prescrizione di legge, avendo acquistato una quota del quattro per mille di altro immobile da destinarsi a prima casa.
Secondo il giudice d’appello, ì benefici in esame possono essere concessi a chi acquista anche e soltanto una quota di immobile in quanto, sulla base del disposto normativo, non si ritiene sussistere un limite quantitativo all’acquisto pro-quota dell’immobile che determini la decadenza dall’accesso ai benefici stessi.
Unica condizione prevista dalla legge, continuano i giudici del gravame, affinché non si verifichi la decadenza dalle agevolazioni è quella di adibire il secondo immobile acquistato ad abitazione principale, entro il termine annuale (senza quindi che assuma rilevanza la quota di proprietà acquistata).

Nel ricorso, l’Amministrazione denuncia la violazione dell’articolo 1, nota II bis), dell’articolo 1 della Tariffa, parte I, allegata al Tur, in quanto è dell’avviso che il requisito dell’idoneità dell’immobile da adibire ad abitazione principale avrebbe carattere funzionale e non formale, non potendosi prescindere dalla valutazione del quantum del diritto di proprietà dell’immobile di cui il contribuente è in concreto titolare, rispetto alla pienezza ed esclusività del dominio.

La sentenza della Cassazione
Secondo i giudici di legittimità, il ricorso merita accoglimento.
In tema di benefici prima casa, la richiamata nota prescrive, al comma 4, che il contribuente, entro un anno dal trasferimento dell’immobile acquistato con i predetti benefici, deve procedere all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale.

Per la Corte suprema, tuttavia, l’acquisto non dell’intero, ma di una quota dell’immobile, non è di per sé ostativo ad integrare il requisito, anzi, potrebbe ben integrarlo ma a condizione che la quota acquistata sia significativa in relazione alla concreta possibilità di disporre del bene, in modo da poterlo adibire a propria abitazione principale.

Al riguardo, infatti, precisa la Cassazione, come stabilisce l’articolo 1102 del codice civile, ciascun partecipante alla comunione “… può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”.

Ne consegue che, “l’acquisto di una quota particolarmente esigua di un immobile non può perciò comportare da solo il potere di disporre del bene come abitazione propria; esso è, cioè, inidoneo a realizzare l’adibizione ad abitazione che è la finalità perseguita dal legislatore con il riconoscimento dell’aliquota dell’imposta ridotta sugli atti d’acquisto, e non vale, pertanto a realizzare la condizione dello ‘acquisto di altro immobile’…”.

La Cassazione giunge a tale conclusione anche sulla base di speculari precedenti pronunce in cui è stato affermato che “… la mera titolarità di una quota di un appartamento in comunione non preclude (a meno che non abbia a vertersi in ipotesi di comunione fra coniugi) la fruizione della disciplina agevolativa sull’acquisto della cosiddetta ‘prima casa’…”, in quanto “… la facoltà di usare il bene comune, purché non si impedisca a ciascuno degli altri comunisti ‘di farne parimenti uso’, assicurata dall’art. 1102 del codice civile, non consente infatti al singolo comunista di destinare idoneamente la casa in comunione a sua abitazione” (cfr Cassazione, sentenze 10984/2007 e 9647/1999).

In altre parole, se il semplice acquisto di una quota in comunione di un immobile non è ostativo alla fruizione del benefico prima casa, è comunque necessario che la quota acquistata sia tale da consentire al contribuente/acquirente – nel rispetto della normativa civilistica in tema di comunione – di destinare la stessa a propria abitazione principale (tale onere probatorio, ovviamente, spetta al contribuente/beneficiario).

Fonte: Fisco Oggi

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