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Dissesto idrogeologico in Umbria, servono 180 milioni di euro
Per la difesa di un territorio che risulta instabile e spesso colpito da eventi

“In Umbria, quasi il 9 per cento del territorio collinare-montano è in frana, con una superficie totale instabile pari a 651 Kmq e un numero molto elevato di singoli eventi (34.545) per la maggior parte quiescenti (73%) e riferibili a frane a cinematica lenta (88%). Volendo fare una proiezione a medio-lungo termine della spesa necessaria per mettere in sicurezza tutte le aree ancora a rischio in Umbria, questa si aggira intorno ai 180 milioni di euro. Fino a oggi sono stati spesi oltre 550 milioni di euro, più di 400 interventi realizzati, 82 aree a rischio del PAI messe in sicurezza, almeno parzialmente, a fronte delle 185 totali in Umbria”.

Per questi motivi l’assessore regionale alla mitigazione del rischio sismico e idrogeologico, Stefano Vinti, sostiene le richieste avanzate dalle associazioni di categoria e dagli ordini professionali al Presidente Enrico Letta per avere più risorse dedicate alla difesa del suolo e alle politiche di prevenzione del rischio idrogeologico. Il vasto schieramento di associazioni ambientaliste, di categoria, dai Consigli nazionali degli ordini professionali del settore, sindaci, dal mondo dei tecnici e della ricerca chiede un forte impegno a favore della messa in sicurezza del Paese, minacciato da precipitazioni sempre più intense e violente per i cambiamenti climatici in atto, dagli effetti di un territorio che ogni anno è reso più vulnerabile dal consumo di suolo, ma anche da una politica di mitigazione del rischio idrogeologico che continua a basarsi su pochi interventi di somma urgenza invece che su un’azione di prevenzione e manutenzione diffusa su tutto il territorio.

“Le risorse previste nella legge di stabilità sono talmente insufficienti da sfiorare il ridicolo, afferma Vinti. L’articolo 5 infatti, prevede come nuovi fondi solo 30 milioni per l’anno 2014, 50 milioni per l’anno 2015 e euro 100 milioni per l’anno 2016, questo significa che per tutta l’Italia sono stati stanziati i fondi che servirebbero soltanto per coprire i rischi dell’Umbria”.

L’Assessore Vinti ha ribadito perciò “la piena condivisione delle preoccupazioni delle associazioni categoria e degli ordini professionali, auspicando che il governo esca dall’inerzia che lo contraddistingue e a cui sta condannando il Paese intero per assumere provvedimenti che mettano la sicurezza dei territori tra le priorità”.

“Tra l’altro, sottolinea Vinti, il rischio si genera quando la pericolosità da frana si riscontra in territori abitati, e può essere di vario grado a seconda  della ricorrenza e intensità delle frane e della vulnerabilità dei beni esposti. Sotto questo profilo il PAI (Piano di Assetto Idrogeologico) dell’Autorità di Bacino del fiume Tevere, in cui ricade il 95% del territorio regionale, delimita e vincola in Umbria 185 aree esposte a rischio di frana elevato o molto elevato e riconosce 63 aree a rischio medio, la cui disciplina è demandata alla Regione. In Umbria l’abbondanza di frane quiescenti, ha continuato Vinti, configura uno scenario di “attesa” su cui le condizioni meteo-climatiche possono provocare riattivazioni, anche con gravi danni. Sotto questo aspetto, nella nostra regione si contano ad oggi 266 ambiti urbanizzati maggiormente esposti a ricorrenza storica di frane, catalogati dal Servizio Geologico e Sismico. Ma, oltre ai numeri e alle statistiche, è importante evidenziare il carattere proprio della franosità dell’Umbria, che si  contraddistingue come diffusa, cioè distribuita su quasi tutto il territorio collinare-montano anche se prevalentemente con forme quiescenti, persistente, in quanto le frane tendono a ripetersi nelle stesse zone in cui si sono verificate in passato, e ricorrente, soggetta cioè a riattivazioni periodiche”.

A fronte di queste situazioni, le associazioni di categoria e gli ordini professionali firmatari della lettera al presidente del Consiglio, hanno avanzato due richieste precise: la deroga al patto di stabilità per consentire alle amministrazioni locali di mettere in campo gli interventi previsti dai Piani di bacino e dalla pianificazione di settore per la mitigazione del rischio idrogeologico nei loro territori (perché queste spese relative alla mitigazione del rischio idrogeologico vanno considerate come veri e propri investimenti), e di aumentare la somma prevista dall’attuale legge di stabilità (180 milioni di euro per i prossimi tre anni) stanziando almeno 500 milioni di euro all’anno da destinare ad un’azione nazionale di difesa del suolo che rilanci la riqualificazione fluviale, la manutenzione ordinaria e la tutela del territorio come elementi strategici delle politiche di prevenzione, abbandonando la logica del ricorso a sole opere di somma urgenza, coerentemente con gli obiettivi della direttiva comunitaria 2007/60/CE sulla gestione del rischio alluvioni.

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Fonte: Regione Umbria


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