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La Relazione ANAC sull’attività svolta nel 2017
Le parole del presidente dell'Autorità Cantone: "Qualificazione delle stazioni appaltanti è una riforma-chiave"

Il presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), Raffaele Cantone, ha presentato la scorsa settimana, presso la Sala Koch di Palazzo Madama, la Relazione sull’attività svolta nel 2017.

Relazione ANAC: la questione dell’applicazione del Codice Appalti

In Italia la corruzione è forte, resiste, non accenna a fermarsi. Il presidente ANAC – che in Parlamento definisce i corrotti un “male assoluto”, come già Sergio Mattarella – afferma che le denunce si stanno moltiplicando al suo ufficio, ora in affanno. Crescono ad esempio le segnalazioni dei dipendenti della Pubblica Amministrazione che lanciano l’allarme su possibili, gravi irregolarità.
“Non possiamo giudicare pienamente il Codice degli appalti definito nel 2016 – ha detto Cantone in occasione proprio della Relazione annuale ANAC – se non si dà attuazione ad alcuni tasselli fondamentali nell’architettura complessiva. Decreti non emanati per ritardi e resistenze dentro e fuori il precedente governo, ma non per colpa dell’ANAC”.

La riduzione delle stazioni appaltanti

“Tra questi l’albo dei commissari di gara, che svolge un ruolo chiave ai fini della trasparenza, visto che si è allargata la discrezionalità della PA con l’Oepv obbligatoria sopra i 2 milioni di euro; il rating di impresa, per premiare la qualità e chiudere l’era del massimo ribasso e dei contenziosi; e forse più di tutto la qualificazione delle stazioni appaltanti”. L’effetto dirompente che avrebbe la riforma delle stazioni appaltanti diventa chiaro leggendo a pagina 237 della Relazione ANAC: l’Autorità Anticorruzione spiega che secondo un lavoro di stima fatto insieme al Ministero delle Infrastrutture, l’applicazione della bozza di DPCM sulla qualificazione (fermo al tavolo tecnico della Conferenza Unificata, ma che per l’ANAC funziona) porterebbe a una riduzione delle stazioni appaltanti di tre quarti per i lavori (da 12mila a 3mila) e di 4/5 per servizi e forniture, da 25 a 5mila.

Una possibile rivoluzione

Definendo cioè le capacità, le competenze e le strutture adeguate a gestire appalti per categorie e soglie dimensionali, si scopre che le strutture adeguate sarebbero non più di 3mila in tutta Italia per i lavori pubblici. Una rivoluzione, che ben si capisce solleva resistenze nei piccoli enti che non vogliono perdere fette di potere, ma anche ben si capisce potrebbe avere impatto importante per l’efficienza dei lavori pubblici, la prevenzione della corruzione, la capacità di tener testa alle imprese nei contenziosi. “Gli appalti pubblici, infatti, – si legge nella Relazione ANAC, pagina 232 – risentono molto spesso di forti asimmetrie informative legate sia alla selezione del contraente più efficiente (possibilità di adverse selection) sia alla difficoltà di mantenimento dei termini contrattuali inizialmente pattuiti con l’operatore economico selezionato (possibilità di moral hazard)”.

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