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Stazioni uniche appaltanti, il caos della novella legislativa
Il nuovo sistema di affidamento di lavori, servizi e forniture paralizza i Comuni nei procedimenti di evidenza pubblica

A proposito di stazioni uniche appaltanti: la filosofia e la finalità di razionalizzare i costi della PA attraverso una “aggregazione” delle stazioni appaltanti e la “definizione” di prezzi di riferimento si condivide e, anzi, se ne richiede con forza l’attuazione soprattutto su grande scala (Asl, scuola, ministeri, Regioni). Meno accettabile è l’applicazione trasversale delle normative dove non si comprendono le singole e specifiche esigenze dei Comuni. Non ci si riferisce qui all’acquisto di una risma di carta, al noleggio di una autovettura all’acquisto di una stampante, situazioni che che risultano prive di “contestualizzazione” se riferite ad un ufficio ministeriale. Ci si riferisce bensì alle particolarità che molto spesso sono proprie di realtà locali che dovrebbero avere nel prezzo di riferimento fissato l’unico elemento di riferimento al quale attenersi e non superare.

Mi pare “epocale” quindi ritenere che tutti i Comuni non capoluogo di provincia debbono aderire a centri di aggregazione in modo asettico e privo di razionalità. L’art.33 del D.Lgs. 163/2006 costituiva e, credo, debba continuare a costituire una possibile alternativa nelle procedure da adottare da parte delle stazioni appaltanti. Il primo comma infatti recita chiaramente che “Le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori possono acquisire lavori, servizi e forniture facendo ricorso a centrali di committenza, anche associandosi o consorziandosi”. Chiaramente poi, all’interno di questa facoltà, la norma fornisce con gli altri commi indicazioni e modalità operative, nonchè vincoli. Ma la facoltà rimane oggettiva, altrimenti si azzererebbero tutte le stazioni appaltanti in un momento con il blocco irrazionale di tutte le attività gestionali.

La legge di conversione del decreto che ha modificato il comma 3-bis dell’art.33 del D.Lgs 163/06, in particolare l’art.9 del D.L. 66/2014 riporta come titolo “Acquisizione di beni e servizi attraverso soggetti aggregatori e prezzi di riferimento”. Quindi parla di acquisto di “beni e servizi” e di quando questo acquisto lo si fa attraverso “soggetti aggregatori” definendo prezzi di riferimento. Leggendo poi il comma 3 si comprende come la finalità sia proprio quella di definire a livello nazionale delle categorie e dei prezzi “standard” ai quali riferirsi e che dovranno fungere da “calmiere” per l’intero mondo degli acquisti di beni e servizi. Attenzione, beni e servizi.

Sempre al comma 3 si ritrova l’affermazione riportata da Barbiero riguardo all’impossibilità da parte dell’Autorità di dare il CIG se una stazione appaltante non rispetta la norma. Nelle ultime parti del comma 3 infatti si trova “Per le categorie di beni e servizi individuate dal decreto di cui al periodo precedente, l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) alle stazioni appaltanti che, in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma, non ricorrano a Consip S.p.A. o ad altro soggetto aggregatore”. Si parla sempre di beni e servizi. Lo stesso comma 3 finisce con l’affermazione che, in qualche modo, conferma la finalità dell’intero sistema di definire dei costi e caratteristiche standards alle quali riferirsi, infatti afferma: “È comunque fatta salva la possibilità di acquisire, mediante procedura di evidenza pubblica, beni e servizi, qualora i relativi prezzi siano inferiori a quelli emersi dalle gare Consip e dei soggetti aggregatori“. Come è logico attendersi se vi sono prezzi inferiori a Consip o altre forme la PA può proseguire anche al di fuori. Da capire come si possa ammettere la gara pubblica e non eventualmente altre forme ristrette. L’obiettivo è infatti di contenere e razionalizzare la spesa.

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Il comma 3-bis (che modifica il 33 del D.LGS. 163/06) inserisce nelle sue righe anche i lavori all’inizio ma non lo riprende alla fine. “I Comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle Unioni dei comuni.In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. Dimenticanza? Confusione? Taglia incolla o altro? Sembrerebbe che la facoltà alternativa sia riferita ai beni ed alle fornitura ma non ai lavori. Il che sembra privo di logica. Al comma 5 si ribadisce la finalità della legge di conversione come il “perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica attraverso la razionalizzazione della spesa per l’acquisto di beni e di servizi“.

Relativamente alle aste elettroniche, il DPR n.207/10 all’art.287 le prevede riferite ad appalti di forniture di beni e servizi ma sempre come procedure di gara “alternative” a quelle ordinarie.

Non sembra pertanto semplice ed immediato istituire un soggetto aggregatore che sia in grado di gestire gli appalti di lavori per un ambiente vasto con diversi comuni e diverse necessità di tempo, modi e programmazione. Pertanto se la portata della norma fosse “secca” e trasversale per tutti, la paralisi delle attività non sarebbe una paura ma una certezza con una soluzione lontanissima da venire. Una urgenza come la nostra come in che modo si “sposa” con una stazione appaltante unica aggregata magari nel comune di RHO?

Immagino pertanto che le modalità previste siano riferite alla fornitura di beni e servizi e non ai lavori che, allo stato attuale, rimangono ancora nelle facoltà dei singoli enti procedere per i lavori secondo le modalità ritenute più funzionali con riguardo ai prezzi.

Ing. Domenico Martini


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