C’è cambio di destinazione d’uso se il professionista esercita in casa?

Per parlare di cambio di destinazione d’uso di un immobile è necessario fare riferimento alle caratteristiche dei locali interessati dall’intervento di trasformazione, e si dovrebbe escludere nel caso in cui l’utilizzo a fine lavorativo dei locali non abbia comportato una modifica della tipologia costruttiva o dell’organizzazione interna degli spazi.

D’altra parte, si può affermare che anche lo svolgimento di un’attività professionale svolta senza alcun apparato organizzativo e strumentale nello studio della propria abitazione, comporta la trasformazione in immobile ad uso direzionale.

A questa conclusione è giunto il T.A.R. Veneto rispondendo con la sentenza n. 1110 del 1 luglio scorso ad un ricorso presentato dai comproprietari di un immobile situato in zona a destinazione agricola.

L’immobile è stato trasformato ad uso residenziale, previa esecuzione di lavori regolarmente assentiti dal Comune con concessione edilizia integrata con le successive, con le quali sono state autorizzate talune modifiche al progetto originario.

L’edificio è stato dichiarato abitabile ed agibile e utilizzato come propria abitazione. Uno dei 2 comproprieatari svolge la propria attività lavorativa presso questa abitazione e, in seguito a denuncia dei vicini l’Ufficio Tecnico Comunale ha effettuato un sopralluogo, finalizzato all’accertamento della conformità del fabbricato a quanto precedentemente assentito, nonché alle modalità di utilizzazione del fabbricato stesso.

A seguito della redazione, da parte del tecnico incaricato, del relativo verbale, il Comune  ha mesesso il provvedimento in epigrafe con il quale ordinava, ai ricorrenti, di non variare la destinazione d’uso autorizzata, diffidandoli dallo svolgere nei locali “attività direzionali (uffici e attività professionali), in quanto non ammessi in tale zona agricola ed in tali immobili …. “.

I giudici del T.A.R. fanno notare che “la conclusione testuale del tecnico comunale è che in loco “non è stata rilevata la presenza di elementi che depongano per un cambio di destinazione d’uso, da residenziale a direzionale professionale, dell’immobile” in quanto “ lo studio al piano terra è di tipo residenziale, non ha caratteristiche e organizzazione tipica di studio professionale (mobilio, computer, dipendenti, parti esclusive); trattasi di vano per soggiorno studio”.

In sostanza è verosimile che avendo rilevato che l’attività esercitata in un locale dell’abitazione priva di caratteristiche e di organizzazione proprie dello studio professionale da uno dei soggetti residenti, senza attrezzatura e senza la configurazione esterna dei locali come studio professionale aperto al pubblico, ma piuttosto come attività episodica e marginale, il supposto mutamento di destinazione sia stato escluso.

D’altra parte gli stessi giudici sottolineano che “per poter parlare di un mutamento funzionale della destinazione d’uso di un immobile (nella specie parzialmente) da residenziale a professionale –direzionale, occorre riferirsi alle oggettive caratteristiche dei locali interessati dall’intervento di trasformazione, dovendosi escludere tale mutamento quando l’utilizzazione lavorativa dei locali non abbia comportato una modifica della tipologia costruttiva o, quantomeno, dell’organizzazione interna degli spazi.

Diversamente opinando si dovrebbe invero concludere che anche lo svolgimento di un’attività professionale svolta senza alcun apparato organizzativo e strumentale nello studio della propria abitazione, ne comporta la trasformazione in immobile ad uso direzionale”.

In conclusione il provvedimento del Comune, contro il quale i 2 comproprietari hanno presentato ricorso, per i giudici non solo non è lesivo perché muove dalla oggettiva condizione giuridica dell’immobile, ma è legittimo in quanto non è possibile negare che se nell’immobile, collocato in zona agricola e avente destinazione residenziale e rurale, venisse esercitata un’attività professionale, come quella di studio medico aperto al pubblico, o se ne fosse modificata la destinazione agricola residua dei locali cui è stata impressa tale specifica destinazione, la diffida al recupero della destinazione d’uso sarebbe certamente legittima e non si esporrebbe alle censure articolate nel ricorso.

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