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Acquisti PA: la Spending Review salva le espropriazioni
Un parere della Corte dei Conti chiarisce i dubbi manifestati sulla questione dalle amministrazioni comunali

La scure della Spending Review non si abbatte su tutti gli acquisti della P.A., come quelli per espropriazioni per pubblica utilità. Ma andiamo con ordine e sintetizziamo quanto ha riportato la rivista L’Ufficio Tecnico, l’autorevole mensile di tecnica edilizia per amministrazioni pubbliche e professionisti di Maggioli Editore.

La Legge di Stabilità 2013 (legge 228/2012) ha posto diversi problemi di interpretazione sulla sua portata applicativa. Hanno suscitato infatti grandi dubbi, soprattutto tra i soggetti destinatari, cioè i Comuni, le modificazioni introdotte da quest’ultima all’interno del Decreto Taglia-Spese (DL 98/2011), in particolare il comma 1-ter inserito nell’art. 12 il quale affermava che, al fine di giungere a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno, gli enti territoriali e le articolazioni del Servizio Sanitario Nazionale avessero l’obbligo di effettuare “operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità”.

Il dubbio, che rivestiva rilevante peso operativo poiché poteva porre difficoltà nella realizzazione di programmi e investimenti pubblici in cui fosse previsto un esproprio di fabbricati o terreni per pubblica utilità, è stato ora chiarito grazie ad un intervento della Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, la quale, con la deliberazione n. 174/2013/PAR del 12 luglio 2013, ha chiarito ad un Comune della provincia di Belluno come dovesse essere interpretato, alla luce della sopravvenuta normativa, il divieto introdotto dalla Legge di Stabilità 2013.

Nel parere la Corte, dopo una accurata disamina della normativa di riferimento, utilizza come chiave di volta per risolvere la questione l’art. 10-bis, comma 1 della legge 64/2011, norma di interpretazione autentica che consente di affermare che il divieto in questione è limitato ai soli acquisti a titolo derivativo “iure privatorum” di carattere oneroso (ad es. compravendita) e non può riferirsi a fattispecie diverse, NON estendendosi pertanto a:
1. Espropriazioni per pubblica utilità anche in ragione della diversa natura dell’acquisto (a titolo originario) e dell’assenza di un “corrispettivo” in senso tecnico (prezzo);
2. Permute a parità di prezzo;
3. Operazioni di acquisto programmate da delibere assunte prima del 31 dicembre 2012 dai competenti organi degli enti locali e che individuano con esattezza i compendi immobiliari oggetto delle operazioni;
4. Procedure relative a convenzioni urbanistiche previste dalle normative regionali e provinciali.

Infine, il parere della Corte dei Conti precisa che il divieto di cui trattasi si riferisce all’acquisto di una determinata categoria di beni (ossia, come detto, agli immobili) e non anche ai diritti reali di godimento (quali servitù, usufrutto ed enfiteusi, che pure possono essere oggetto di vendita), derivanti dalla stipulazione di atti traslativi, a titolo oneroso, della proprietà di detti beni.

Su questo tema verrà dedicata un’ampia riflessione sul numero di settembre de L’Ufficio Tecnico.


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