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Decreto sviluppo, coste in svendita e deregulation edilizia
Enti locali e associazioni ambientaliste e a difesa del territorio criticano la privatizzazione delle spiagge e il silenzio assenso in edilizia

Continuano in questi giorni le polemiche attorno ai provvedimenti contenuti nel decreto legge Sviluppo, approvato dal governo alcuni giorni fa. In particolare si contesta l’unilateralità del decreto, non è stato intrapreso alcun dialogo su questi argomenti con regioni, comuni, ma soprattutto i contenuti che riguardano l’edilizia e le spiagge.

Italia Nostra Onlus manifesta profonda preoccupazione per la totale deregolamentazione in materia edilizia, attuata introducendo lo strumento del silenzio assenso per ogni ipotesi di nuova costruzione e di edificazione già sottoposta al regime del permesso di costruire, sostituendo alla DIA la SCIA, tipizzando lo schema contrattuale della “cessione di cubatura” e prevedendo misure di premialità volumetrica del 20% e del 10% in caso di interventi di ricostruzione anche con modifiche di sagoma, modificazioni di destinazioni d’uso, delocalizzazione delle volumetrie in aree differenti.

“Censurabile – sottolinea la presidente Alessandra Mottola Molfino – è altresì la prevista privatizzazione delle spiagge italiane, attraverso l’introduzione del diritto di superficie per 90 anni, con conseguente diritto di edificazione nelle aree inedificate. Un furto agli italiani, privati di un loro pubblico bene. L’ennesimo regalo di questo governo agli speculatori, che faranno delle nostre coste il loro business”.

Le Regioni parlano di un “decreto unilaterale, fatto senza sentire le Regioni, che rischia di danneggiare le nostre imprese e I’ambiente aprendo la strada alla speculazione sugli arenili”.
“C’ è una procedura d’infrazione aperta nei confronti dell’Italia e il governo si era impegnato a rispondere entro il 2015 con una norma che tolga l’ automatismo nel rinnovo delle concessioni – fa notare il presidente Vasco Errani in una recente intervista a La Repubblica – .

Adesso l’introduzione del “diritto di superficie” e solo un ballon d’essai elettorale e il conflitto aperto con l’Europa potrebbe tradursi in un danno per le nostre imprese e l’ambiente.  I 90 anni sono una sorta di privatizzazione, se il canone sarà a prezzi di mercato, siccome non sarà possibile aggirare la gara per ottenere la concessione, il rischio e che i piccoli imprenditori siano scalzati via da chi ha maggiori risorse finanziarie e vuole speculare sulle spiagge”.

Errani ricorda che rispetto a questo decreto “la Conferenza delle Regioni non è stata coinvolta”, mentre peraltro “era aperto un tavolo sul demanio con il Governo”.
“Ora –conclude Errani – bisogna far ripartire il confronto. L’arenile e protetto dalla legislazione nazionale a cui quella regionale deve fare riferimento” e, come Emilia-Romagna,  “stiamo valutando i profili di incostituzionalità del decreto e, se dovessero essere ravvisati, saremo anche pronti a fare ricorso”.

Le rassicurazioni dei ministri Galan e Prestigiacomo sul fatto che rispetto al decreto legge varranno in ogni caso i vincoli esistenti, non sembrano essere sufficienti.
Legambiente fa notare come queste affermazioni siano purtroppo smentite dal testo, che non prevede in alcun modo la partecipazione dei Ministeri alla procedura di costituzione del diritto di superficie. E in ogni caso, i vincoli possono essere aggirati e persino modificati da Comuni e Regioni”.

Sebastiano Venneri, vicepresidente nazionale di Legambiente, commenta il Dl sviluppo recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri evidenziando come, all’articolo 3, si preveda il rilascio del provvedimento costitutivo del diritto di superficie, da parte della Regione d’intesa con il Comune e Agenzia delle Entrate, escludendo il Ministero dei Beni Culturali, che pure dovrebbe vigilare sui 300 metri dalla battigia, e il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare. 

“Non possono essere solo ragioni di tipo economico a governare le autorizzazioni che riguardano le coste italiane – ha continuato Venneri -, perché stiamo parlando di paesaggi unici e di interesse pubblico.

Inoltre, la possibilità che il Decreto apre di realizzare interventi sulle aree demaniali attualmente inedificate, sempre in regime di diritto di superficie per 90 anni, è gravissima, perché se è vero che si fanno salve le norme vigenti di tutela, queste possono essere modificate proprio dalle Regioni e dai Comuni.

Con il trasferimento del demanio costiero alle Regioni si profilano quindi, rischi gravissimi per le aree costiere italiane e su quei paesaggi che la Costituzione tutela all’articolo 9 e su cui il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali dovrebbe vigilare con ben altra attenzione”.

Se ogni anno si spendono già decine di milioni di soldi pubblici per il ripascimento delle spiagge e il ripristino degli edifici danneggiati dall’erosione delle coste dovuta all’innalzamento dei mari, logica vorrebbe che il Ministero dell’Ambiente si impegnasse per tutelare queste aree da qualsiasi intervento. Col Dl sviluppo, invece, si rischia di portare nuovo cemento su questi fragili ecosistemi per poi magari ricorrere ancora ai fondi pubblici per far fronte ai possibili ulteriori danni..

“Siamo convinti – ha concluso Venneri – che la Commissione Europea interverrà per fermare un provvedimento che, di fatto, privatizza per 90 anni le coste italiane senza alcuna procedura trasparente e pubblica.

Il Governo dovrebbe invece ripristinare la legalità richiedendo le gare obbligatorie per tutte le nuove concessioni e facendo rispettare il diritto alla spiaggia libera in tutta Italia e non solo per il passaggio fino al mare.

E’ francamente incomprensibile, infatti, che si possa sostenere l’utilità di questo provvedimento in quanto strumento a tutela dell’italianità delle imprese balneari, anche per operatori che hanno occupato abusivamente edifici e aree demaniali, o che hanno pagato briciole a fronte di enormi guadagni”.


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