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Costruzioni: in 2 anni perso il 17% di fatturato
Pubblicato il primo rapporto Federcostruzioni sullo stato di salute del settore. Buzzetti di Ance chiede al governo misure per frenare il calo occupazionale

La pubblicazione del primo Rapporto su “il sistema italiano delle costruzioni” a cura di Federcostruzioni fa emergere la drammaticità dell’attuale stato di crisi di un settore che dall’inizio del 2008 ha perso mediamente il 17,3% dei fatturati, con punte che per segmenti produttivi come le macchine per l’edilizia e i laterizi hanno superato il 50%.

Le previsioni per il 2010 indicano in 323 miliardi e mezzo il giro di affari. Era di 386 miliardi nel 2008. Una contrazione del fatturato che ha interessato chi in misura maggiore, chi più contenuta, ma comunque del tutto eccezionale, tutti i comparti delle quattro filiere che si riconoscono in Federcostruzoni. […]

Nel commentare i dati del Rapporto il Presidente di Federcostruzioni Paolo Buzzetti ha sottolineato come si stia assistendo all’abbandono di un settore nevralgico per la nostra economia, che dal gennaio 2009 a giugno 2010 ha perso più di 250 mila addetti, di cui 180.000 nelle costruzioni, 24.000 nel comparto dei servizi all’ingegneria e alla progettazione e 46.000 tra le imprese produttrici di materiali, macchine e tecnologie. E l’emorragia continua.

“Nel sistema delle costruzioni – ha aggiunto – lavorano circa 3 milioni di persone di cui 1.944.000 nelle costruzioni e circa 1.000.000 nei settori collegati. Gli occupati nel sistema delle costruzioni rappresentano il 16,8% degli addetti che operano nelle imprese dell’industria e dei servizi.

La produzione del settore e cioè l’ammontare degli investimenti in costruzioni (nuove costruzioni, interventi di manutenzione straordinaria) e delle spese per manutenzione ordinaria rappresenta il 12,8% del Pil”.

“Un settore, come ricorda il vicepresidente Andrea Negri, coordinatore del gruppo di esperti che ha lavorato sul Rapporto, che garantisce il funzionamento fisico del Paese, lo aiuta a crescere, lo sostiene e che può contribuire, in maniera determinate, se adeguatamente riconosciuto, a rilanciare una nuova fase di sviluppo”.

“Da sempre – aggiunge Buzzetti – le costruzioni svolgono una funzione determinate di tipo anticongiunturale. Negli altri Paesi europei, dalla Spagna alla Francia, dall’Inghilterra alla Germania, sono state attivate politiche specifiche di sostegno, immettendo risorse e accelerando le procedure, consentendo l’apertura di cantieri piccoli e grandi.

Insomma in Europa il rigore si è accompagnato a politiche di sviluppo. Ma se è vero che il nostro Paese si trova in una situazione più critica, non si comprende come mai i programmi finanziari approvati, le risorse stanziate restino nei cassetti.

Con l’effetto di vedere scomparire decine di migliaia di piccole e medie imprese, intaccando un tessuto produttivo che dalla fine degli anni Novanta ha evitato al nostro Paese di entrare in recessione ben prima dello scoppio della crisi finanziaria di fine 2008”.

Lo scenario attuale e di prospettiva appare quanto mai desolante e il sistema italiano delle costruzioni che si riconosce in Federcostruzioni rischia il collasso.

“Assistiamo – continua il Presidente di Ance e di Federcostruzioni – a una progressiva contrazione delle risorse destinate al settore, il che significa che alla difficilissima situazione del mercato privato si accompagna anche una recessione nel settore dei lavori pubblici.

Il numero delle gare si è ridotto negli ultimi anni di percentuali a due cifre, mentre un andamento altalenante del valore del mercato risulta tutto a favore di lavori molto grandi che si caratterizzano per tempi di cantierizzazione molto lunghi e per un coinvolgimento sempre più limitato delle imprese piccole e medie“.

“E’ in questo scenario che la crisi continua a mordere –  ha concluso il presidente di Federcostruzioni – e non succede nulla. Va fatta partecipe e sensibilizzata l’opinione pubblica sul significato economico e sociale del fallimento di decine di imprese ogni giorno, non solo per la mancanza di attività, ma spesso per i mancati pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni.

Dobbiamo affermare il principio che non esistono lavoratori di serie A garantiti dalla spesa pubblica e lavoratori di serie B che rischiano il posto perché le amministrazioni pubbliche non pagano i loro datori di lavoro. Questa non è demagogia, ma la cruda realtà di quanto sta accadendo.

Se il nodo da sciogliere è il Patto di stabilità, si intervenga evidenziando la drammaticità della situazione anche a livello europeo. La seconda questione riguarda le risorse.

Abbiamo chiesto senza risultato di accelerare l’effettiva realizzazione del Piano infrastrutturale approvato dal CIPE e di mettere a disposizione celermente le risorse disponibili dando priorità agli interventi diffusi sul territorio, che possono avere un effetto più immediato contro la crisi creando un volano che rimetta in moto lo sviluppo nelle costruzioni e nell’indotto.

I tempi lunghi delle decisioni politiche e amministrative bruciano ricchezza e posti di lavoro. Bisogna intervenire. L’assenza di provvedimenti in questo senso impone oggi prese di posizione  unitarie e la messa in campo di azioni straordinarie”.


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