La rideterminazione degli oneri concessori

di M. Petrulli

Secondo la giurisprudenza, esistono alcune ipotesi peculiari in cui è possibile procedere alla rideterminazione degli oneri concessori rispetto all’originaria quantificazione, entro l’ordinario termine decennale, ex art. 2946 c.c (1).
Nel prosieguo del presente approfondimento provvederemo ad analizzarle, fornendo le indicazioni utili per la corretta gestione.

La rideterminazione nel caso di errore

La prima ipotesi è quella del mero errore, la cui correzione non è solo possibile ma doverosa (2).
Il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sent. 27 settembre 2017, n. 4515, ha affermato che “la pariteticità dell’atto e l’assenza di discrezionalità ne legittima o addirittura ne impone la revisione ove affetta da errore, con il solo limite della maturata prescrizione del credito. La originaria determinazione, pertanto, può essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta originaria erroneità della determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato un importo superiore e, pertanto, non dovuto”.
È evidente che l’errore potrà determinare una somma maggiore o una minore rispetto a quella originariamente liquidata: nel primo caso, il Comune dovrà richiedere all’interessato la differenza; nell’altra ipotesi, invece, sorgerà un diritto di credito a favore del privato, con obbligo di restituzione in capo al Comune (in questa seconda ipotesi, in particolare, bisognerà gestire anche l’aspetto finanziario, adottando un provvedimento che dia giustificazione della presenza dell’errore originario e della conseguente necessità di porre rimedio ed individui la relativa copertura in uno dei capitoli del bilancio comunale).
Per quanto ovvio, il provvedimento di rideterminazione degli oneri dovrà essere adeguatamente motivato con riferimento agli elementi che hanno determinato l’erronea quantificazione: ad esempio, l’applicazione di tabelle non più o non ancora vigenti; un errore nel calcolo matematico; una errata qualificazione della tipologia di intervento.
Secondo la giurisprudenza (3), la correzione dell’errore nel calcolo degli importi dovuti per il rilascio del permesso di costruire opera anche quando si richiede il titolo in sanatoria.

La rideterminazione nel caso del rinnovo del permesso di costruire

La seconda ipotesi in cui si devono rideterminare gli oneri è quella del rinnovo del permesso di costruire, eventualmente necessario per il completamento dei lavori rimasti ineseguiti: in tal caso bisognerà applicare le tabelle aggiornate e vigenti in quel momento (e non più quelle utilizzate in occasione del rilascio dell’originario titolo edilizio), detraendo quanto già pagato dall’interessato in occasione del precedente permesso di costruire. La giurisprudenza ha giustamente evidenziato che, anche in applicazione del principio tempus regit actum, per ciascun titolo concessorio gli oneri dovuti siano calcolati applicando la normativa e i parametri vigenti al momento in cui esso è rilasciato, esclusa quindi ogni ultrattività della disciplina in vigore all’epoca del rilascio del titolo originario (4).

La rideterminazione nel caso della variante con aumento del carico urbanistico

Anche nel caso di variante al permesso di costruire che determina un aggravio del carico urbanistico si dovrà procedere alla rideterminazione degli oneri (5), tenendo conto delle tabelle eventualmente aggiornate e di quanto già pagato dall’interessato in fase di prima richiesta. Secondo la giurisprudenza, il ricalcolo è legittimo “nell’ipotesi in cui le opere assentite col secondo permesso comportino un mutamento di destinazione d’uso ovvero una variazione essenziale del manufatto con passaggio da una categoria urbanistica ad altra funzionalmente autonoma, in tale caso giustificandosi col maggior carico urbanistico conseguente il ricalcolo degli oneri dovuto” (6).
Su tale aspetto è utile ricordare la sent. 13 novembre 2018, n. 6388, del Consiglio di Stato, sez. IV, nella quale è stato affermato che:

  • ai sensi dell’ art. 23-ter del Testo Unico Edilizia, inserito dall’ art. 17, comma 1, lett. n), del D.L. n. 133/2014, il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e che influisce, di conseguenza, sul c.d. carico urbanistico poiché la semplificazione delle attività edilizie voluta dal legislatore non si è spinta al punto di rendere tra loro omogenee tutte le categorie funzionali, le quali rimangono non assimilabili, a conferma della scelta già operata con il d.m. n. 1444 del 1968;
  • l’aumento del carico urbanistico non si verifica solo in caso di modifica della destinazione funzionale dell’immobile, ma anche nel caso in cui sebbene la destinazione non venga mutata, le opere si prestino a rendere la struttura un polo di attrazione per un maggior numero di persone con conseguente necessità di più intenso utilizzo delle urbanizzazioni esistenti.

È evidente che potrebbe verificarsi anche l’ipotesi in cui la variante vada a determinare una diminuzione del carico urbanistico: in tal caso, a seguito della rideterminazione, di norma si avrà un credito a favore dell’interessato. Evidenziamo che, nel caso in cui siano intervenute nuove tabelle fra il momento dell’originario rilascio del titolo ed il momento in cui si delibera la variante, bisognerà utilizzare quelle nuove e non le precedenti.

Note

(1) TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 4 dicembre 2020, n. 5792; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sent. 30 agosto 2018 n. 12; sez. IV, sent. 27 settembre 2017, n. 4515; sent. 20 novembre 2012 n. 6033; sez. V, sent. 17 settembre 2010, n. 6950; TAR Lazio, Latina, sent. 7 ottobre 2019, n. 580; TAR Marche, sez. I, sent. 10 giugno 2019, n. 382; TAR Veneto, sez. II, sent. 18 ottobre 2021, n. 1241.

(2) Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 27 settembre 2017, n. 4515; conformemente, TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 21 novembre 2019, n. 1833.

(3) TAR Lazio, Latina, sent. 7 ottobre 2019, n. 580.

(4) Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 27 aprile 2012, n. 2471; TAR Marche, sez. I, sent. 24 giugno 2019, n. 425.

(5) TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 20 maggio 2021, n. 767.

(6) Consiglio di Stato, sez. IV, nella sent. 27 aprile 2012, n. 2471

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